In merito al coaching, cioè a una componente della formazione al lavoro, si sente spesso parlare di “intelligenza emotiva”: cos’è e come si fa a migliorarla?
Dopo il 1996, anno in cui Daniel Goleman, psicologo cognitivista e professore di psicologia all’università di Harvard, pubblicò il libro “Intelligenza emotiva”, potremmo quasi dire “niente fu più come prima”: ha aperto un orizzonte quadi sconosciuto fino a qualche decennio precedente. La grande svolta che s’inserì nei diversi contesti, non solo scientifici ma anche nei normali ambienti di vita, fu di facilitare lo sviluppo di un atteggiamento culturale nuovo rivolto a comprendere le emozioni sotto un aspetto diverso ed innovativo. Goleman ha infatti affermato che non solo occorre impegnarsi a collegare l’intelligenza alla emozioni, ma occorre cominciare a considerare le emozioni stesse come intelligenti, capaci di registrare informazioni di grande importanza, informazioni di cui è indispensabile tener conto, che è indispensabile registrare ed elaborare. Goleman, con i suoi studi e le sue conseguenti pubblicazioni, ha permesso di divulgare, non solo nell’ambiente accademico, l’importanza delle emozioni e la necessità di collegarle con la parola e con il pensiero. Le emozioni sono componenti fondamentali dell’esistenza individuale e collettiva, risorse da conoscere ed utilizzare per un miglior rendimento nella vita sociale, relazionale e affettiva. Prima di allora, la psicologia concentrava i suoi studi su un’intelligenza limitata, quella rappresentata dal quoziente d’intelligenza tradizionale (Q.I.). Questo tipo d’intelligenza si limitava a classificare gli individui in modo statico. L’intelligenza emotiva (Q.E.), come l’intelligenza misurata con il Q.I. si può apprendere, formare, perfezionare ed insegnare ed inoltre apre una prospettiva dinamica, con possibilità di trasformazioni e riflessioni infinitamente più ampie del Q.I. Molti studi dimostrerebbero che la maggior parte delle nostre scelte e decisioni non sono il risultato di una attenta disamina razionale dei pro e dei contro relativi alle diverse alternative possibili. In molti casi le facoltà razionali verrebbero affiancate dall’apparato emotivo, il quale costituirebbe una sorta di “percorso abbreviato”, capace di farci raggiungere una conclusione adeguata in tempi utili. La componente emotiva coinvolta nelle decisioni sarebbe anzi determinante nei casi in cui queste riguardano la nostra persona o coloro che ci sono vicini. Su questa prospettiva molti aspetti della nostra quotidianità assumono significati più ampi, ma anche più stimolanti. Secondo Goleman e altri studiosi, l’intelligenza emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, diretto soprattutto a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, indirizzandoli in senso costruttivo. Attraverso i corsi di formazione, Gruemp da molti anni permette ai corsisti di fare delle vere e proprie esperienze di apprendimento emozionale. Questo tipo di formazione, generativa di competenze prevalentemente trasversali, favorisce la riscoperta di un più elevato grado di consapevolezza sull’importanza delle emozioni in ogni nostra forma di comunicazione intrapersonale (con noi stessi) o interpersonale (con gli altri). In particolare ai partecipanti del percorso formativo Avventura Vincente, sulla Leadership ed Intelligenza Emotiva, i corsisti hanno la possibilità di sperimentare direttamente diversi stati emozionali, che vanno ad incrementare il bagaglio d’esperienza dell’adulto in formazione, riattivando così alcuni processi cognitivo-emozionali che favoriscono un miglior sviluppo delle potenzialità individuali. Un approccio esperienziale facilita l’apprendimento negli adulti, permettendo loro di mettersi in gioco in prima persona in attività che li coinvolgono, anche rappresentando metaforicamente parti della propria realtà in modo da potenziare le conoscenze su se stessi e sugli altri. Questo tipo di apprendimento richiede la compresenza di cinque tipi di fattori: Avventura, Metafora, Coinvolgimento Emotivo, Osservazione e Concretezza.
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